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Con la presente circolare, il Consiglio Nazionale, nel rispondere a vari quesiti che periodicamente pervengono dagli Ordini Provinciali e ricordando che in passato, ha avuto già modo di pronunciarsi in merito, intende affrontare in modo organico l’importante tema riportato in epigrafe.
In primo luogo, appare opportuno, definire, innanzitutto, l’ambito oggettivo e soggettivo all’interno della quale la fattispecie trova applicazione.
La prima verifica che deve necessariamente essere espletata consiste nell’analisi delle circostanze al ricorrere delle quali un ente, nella fattispecie l’Ordine, acquisisce la soggettività passiva ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto (I.V.A.), sancite dall’art. 1 del DPR 26/10/1972, n. 633, dove si prevede che “l’imposta sul valore aggiunto si applica alle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate.”
Ne consegue che, l’ambito di applicazione dell’imposta si concreta al ricorrere dei seguenti requisiti essenziali:
- Oggettivo: si intende il ricorrere o meno di una fattispecie che integri i presupposti della cessione di beni o delle prestazioni di servizi.
- Soggettivo: in tal senso si intende definire un criterio che consenta di identificare se la cessione di beni o la prestazione di servizi sia resa da soggetti rilevanti ai fini IVA, ovvero da imprese o esercenti arti o professioni;
- Territoriale: assume rilevanza in questo caso il fatto che un operazione venga effettuata all’interno del territorio dello Stato.
In linea di principio, quindi, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi sono soggette all’imposta sul valore aggiunto qualora vengano effettuate nell’esercizio di impresa, arti o professioni. Tralasciando il caso di esercizio di arti o professioni, in quanto non attinente all’oggetto del quesito, appare necessario soffermarsi sulla nozione di esercizio di impresa in quanto dalla sua definizione discende l’individuazione di tutte le operazioni che generano materia imponibile per l’imposta in esame.
L’art. 4 del D.P.R. 633/1972 definisce l’esercizio di impresa come esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile.
La normativa in esame impone la presenza del requisito dell’abitualità quale causa necessaria affinché si concretizzi l’esercizio dell’impresa. Conserva comunque la sua validità il principio in base al quale si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio d’impresa, per gli enti non commerciali, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di attività commerciali o agricole.
Agli effetti delle disposizioni IVA, inoltre, sono, considerate in ogni caso commerciali, cioè indipendentemente dal fatto che vengano svolte nell’ambito di attività commerciali o agricole, una serie di attività che sono puntualmente elencate al comma 2 del suddetto articolo, e cioè:
a) cessioni di beni nuovi per la vendita, escluse le pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati;
b) erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore;
c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
d) gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti;
e) trasporto e deposito di merci;
f) trasporto di persone;
g) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; prestazioni alberghiere o di alloggio;
h) servizi portuali e aeroportuali;
i) pubblicità commerciale;
j) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
L’Ordine, sul piano tributario, può essere definito come ente non commerciale, cioè come un soggetto appartenente a quella categoria di organismi diversi dalle società commerciali e che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale.
Nessun rilievo assume, invece, ai fini della qualificazione dell’ente non commerciale, la natura pubblica o privata del soggetto, la rilevanza sociale delle finalità perseguite, l’assenza del fine di lucro o la destinazione dei risultati.
L’oggetto esclusivo o principale dell’ente è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata.
La natura di questa attività connota fiscalmente l’ente che la esercita, cosicché, ad esempio, se lo scopo istituzionale è quello di attendere alla tenuta dell’albo, o gestire la politica professionale della categoria, l’attività ha certamente carattere non commerciale.
Accanto a questa definizione di tipo qualitativo, essendo basata sul tipo di attività realizzata, le disposizioni tributarie ne prevedono un’altra fondata sulla prevalenza quantitativa dell’attività commerciale posta in essere (art. 149 del D.P.R. 22-12-1986, n. 917): è infatti previsto che, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’Ente perda la qualifica di “ente non commerciale” qualora svolga prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta, descrivendo, al comma 2, una serie di parametri:
a) prevalenza delle immobilizzazioni relativa all’attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività;
b) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;
c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative;
d) prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti spese.
Chiarito l’aspetto del limite quantitativo rispetto all’ammontare delle altre grandezze del bilancio annuale, e ritornando alla questione dell’I.V.A., emerge chiaramente che per gli enti non commerciali, quale l’Ordine, che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, la soggettività passiva si limita all’effettuazione di quelle operazioni che possano essere oggettivamente inquadrate nel novero delle attività commerciali, come sopra definite.
E’ evidente come, in tale circostanza, l’ente dovrà aprire una propria ed autonoma posizione ai fini I.V.A., con conseguente assoggettamento a tutti gli obblighi imposti dalla disciplina (emissione fatture, tenuta registri, presentazione dichiarazione, ecc.).
Assumendo la qualifica di soggetto I.V.A. l’Ordine acquisisce, di contro, il diritto alla detrazione dell’I.V.A. assolta sugli acquisti, nei limiti sanciti dall’art. 19-ter del D.P.R. 633/72, laddove stabilisce che per gli enti indicati nel quarto comma dell’art. 4 è ammessa in detrazione soltanto l’imposta relativa agli acquisti e alle importazioni fatti nell’esercizio di attività commerciali o agricole.
La detrazione spetta a condizione che l’attività commerciale o agricola sia gestita con contabilità separata da quella relativa all’attività commerciale e conforme alle disposizioni di cui agli articoli 20 e 20-bis del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 ( a cui si rinvia), mentre l’imposta relativa ai beni e servizi utilizzati promiscuamente nell’esercizio dell’attività commerciale o agricola e dell’attività principale (istituzionale non commerciale) è ammessa in detrazione per la parte imputabile pro-quota all’esercizio dell’attività commerciale o agricola.
Come è agevole notare dall’esame della norma sopra richiamata, quindi, l’operatività del regime I.V.A., è delimitata esclusivamente agli acquisti ed alle importazioni effettuate nell’esercizio delle attività commerciale imponendo una gestione con contabilità separata, rispetto a quella istituzionale, tenuta in conformità al disposto dell’art. 20 del D.P.R. 600/1973.
La corretta metodologia di rilevazione contabile, ai fini tributari, viene però descritta rifacendosi al disposto della norma relativa alle imposte dirette. Essa considera raggiunto il requisito di tenuta della contabilità qualora vengano osservati, sinteticamente i seguenti:
- tenuta dei libri contabili obbligatori per le società commerciali o enti assimilati;
- libro inventari;
- redazione al termine dell’esercizio di un bilancio annuale con forme e strutture in gran parte mutuate dalle norme dettate dal codice civile per le società commerciali. dettami del codice civile relativamente alle società, ovvero possono essere considerate assolte con l’istituzione del libro giornale, del registro dei cespiti ammortizzabili e dei registri I.V.A..
Con le osservazioni sopra descritte, si conclude confermando la facoltà per l’Ordine di operare come soggetto I.V.A.
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