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Con la presente – facendo seguito alla circolare CNI 9/04/2024 n.156 (1) - si trasmette a tutti gli interessati la sentenza del TAR Lazio, Sezione Quinta-Ter, 30 aprile 2024 n.8580, che afferma e ribadisce rilevantissimi principi in materia di applicazione del principio dell’equo compenso nel settore dei contratti pubblici (in allegato).
Si tratta di un pronunciamento che si inserisce nel filone aperto dalla precedente sentenza del TAR Veneto n.632/2024 (2), consolidando un indirizzo interpretativo volto a preservare la integrale applicabilità della disciplina dell’equo compenso alla materia dei contratti pubblici e la sua piena compatibilità con la Costituzione e con il diritto dell’Unione Europea.
E’ di tutta evidenza l’importanza sistematica e sostanziale di questo secondo arresto della giurisprudenza amministrativa, nel momento in cui talune Amministrazioni dello Stato stanno cercando di frapporre ostacoli e motivazioni di ogni tipo pur di non riconoscere il diritto ad un compenso equo in capo ai professionisti.
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Oggetto del contendere era la legittimità della avvenuta esclusione (3) della prima classificata nella procedura aperta indetta dall’Agenzia del demanio – Direzione Roma Capitale, per l’affidamento del servizio di vulnerabilità sismica, diagnosi energetica e rilievi da restituire in modalità BIM per taluni immobili di proprietà dello Stato siti in Roma, con importo a base di gara calcolato ai sensi del DM 17 giugno 2016 e con disciplinare contenente la precisazione che i compensi stabiliti per le prestazioni d’opera intellettuale attinenti ai servizi di ingegneria e di architettura avrebbero dovuto considerarsi inderogabili e non ribassabili, in linea con la delibera ANAC 20 luglio 2023 n.343.
E’ da considerare, infatti, che - diversamente da quanto accaduto nella causa decisa dal Tar Veneto - la procedura di aggiudicazione esaminata dal TAR Lazio risultava avviata ai sensi del d.lgs. n.36/2023 e l’amministrazione aggiudicatrice, coerentemente con il vigente quadro normativo di riferimento in tema di equo compenso, aveva previsto nella lex specialis che il ribasso sul corrispettivo posto a base d’asta (comunque stimata ai sensi del DM 17/06/2016) fosse praticabile limitatamente alle sole spese (stimate in € 58.046,52) e non anche alla componente “compenso”.
Mentre era emerso dalle verifiche che il concorrente primo classificato nella graduatoria provvisoria aveva presentato un ribasso del 99,90% dell’importo previsto a titolo di spese negli atti di gara.
Nella relazione giustificativa, l’operatore economico quantificava l’utile e dichiarava che il costo lordo complessivo orario dei dipendenti con qualifica di “ingegnere/architetto” e di “geometra” utilizzati ai fini della partecipazione della gara era determinato alla luce del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro per Studi Professionali – Confprofessioni (Consilp). Tuttavia indicava “spese” per un importo di € 55.171,20 a titolo di “costo indagini e prove strutturali e geognostiche”. La stazione appaltante procedeva all’esclusione dell’impresa, ritenendo non congrua l’offerta in quanto elusiva delle disposizioni in materia di equo compenso considerando che l’importo indicato a titolo di spese nei giustificativi risultava essere di gran lunga superiore rispetto alla quota risultante (sempre per le spese) dall’applicazione del ribasso percentuale unico offerto in sede di gara (circa 58,46 euro stimati pari al 99,9% di ribasso su € 58.046,00).
Difatti, secondo la stazione appaltante, l’impresa, così facendo, per sostenere l’importo delle “spese”, avrebbe dovuto inevitabilmente attingere alla quota parte di corrispettivo relativa al “compenso professionale”; quota parte che, tuttavia, era (ed è) da ritenersi inderogabile ai sensi degli artt. 2 ss. della legge n.49/2023 sull’equo compenso.
In estrema sintesi l’operatore doveva essere escluso in quanto l’eccessivo ribasso sulle spese finiva inevitabilmente per realizzare un indiretto ribasso sul compenso equo, in violazione della citata legge n.49/2023.
L’esito della procedura di gara veniva quindi impugnato dall’operatore escluso sulla scorta delle seguenti argomentazioni:
- Il contrasto della regola della non ribassabilità dei compensi con il principio di concorrenza e la non applicabilità della legge n.49/2023 al settore dei contratti pubblici;
- L’articolo 2, comma 1, della legge n.49/2023 fa riferimento alle prestazioni d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 c.c., sicché la disciplina dell’equo compenso sarebbe circoscritta alle ipotesi in cui la prestazione professionale trovi fondamento in un contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale e non si estenderebbe all’appalto;
- L’esclusione per violazione delle disposizioni in tema di equo compenso avrebbe introdotto una causa di esclusione “non prevista dalla legge” e pertanto in contrasto con l’art.10 del d.l.gs. n.36/2023.
Si tratta, a ben vedere, delle argomentazioni avanzate da chi sostiene la non applicabilità dell’equo compenso al settore dei contratti pubblici, ma che, tuttavia, sono state smentite per la seconda volta dal Giudice amministrativo.
Il TAR Lazio, infatti, con la citata sentenza n.8580/2024 ribadisce la piena compatibilità fra Codice dei contratti pubblici e disciplina dell’equo compenso di cui alla legge n.49/2023.
In particolare appare significativo il passaggio nel quale il Giudice amministrativo - sulla scorta di una interpretazione logico sistematica della disciplina normativa e stigmatizzando le censure della parte ricorrente - esclude che la disciplina dell’equo compenso “venga a collidere con le disposizioni del codice dei contratti pubblici che assicurano il confronto competitivo tra gli operatori”, di contro evidenziando come la legge n.49/2023 soddisfi un interesse di natura “costituzionale” in quanto preordinata non soltanto alla “protezione del professionista, mediante l’imposizione di un’adeguata remunerazione per le prestazioni da questi rese”, ma assicurando nel contempo l’interesse al conseguimento della qualità della prestazione in quanto diretta a “evitare che il libero confronto competitivo comprometta gli standard professionali e la qualità dei servizi da rendere a favore della pubblica amministrazione.”
In sintesi, per il Giudice amministrativo la legge n.49/2023 non presenta alcuna “antinomia” (intesa come la situazione nella quale due norme prevedono conseguenze giuridiche incompatibili rispetto ad una medesima fattispecie), ma anzi “l’interpretazione letterale e teleologica della l. n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici”.
Il TAR Lazio ribadisce anche la piena compatibilità della legge sull’equo compenso con la normativa europea, sostenendo che “non vi sia contrasto tra le disposizioni appena illustrate e la libertà di stabilimento (art. 49 TFUE) o il diritto di prestare servizi in regime di concorrenzialità (art. 101 TFUE e 15 direttiva 2006/123/CE)”.
In particolare, il TAR del Lazio (richiamando la sentenza n.632/2024 del TAR Veneto) conferma che la disciplina in tema di equo compenso: “non sia in grado di pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell’Unione Europea. Si tratta… di un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche, rispetto alle quali l’operatore economico, sia esso grande, piccolo, italiano o di provenienza UE, è consapevole del fatto che la competizione si sposterà eventualmente su profili accessori del corrispettivo globalmente inteso (ad esempio, …sulle spese generali) e, ancor di più sul profilo qualitativo e tecnico dell’offerta formulata. …il meccanismo derivante dall’applicazione della legge n. 49/2023 è tale da garantire sia dei margini di flessibilità e di competizione anche sotto il profilo economico, sia la valorizzazione del profilo qualitativo e del risultato, in piena coerenza con il dettato normativo nazionale e dell’Unione Europea”.
D’altra parte, deve aggiungersi che le tesi che tendono a svilire la legge sull’equo compenso rispetto ai principi dettati dalla normativa europea muovono da una prospettiva che appare errata. Difatti la legge sull’equo compenso non pone “minimi tariffari” restrittivi della concorrenza, ma introduce norme a tutela del lavoro intellettuale dei professionisti e del loro diritto ad una retribuzione (appunto) equa, unitamente ad obiettivi di perseguimento della qualità dei servizi resi a favore della Pubblica Amministrazione.
Dunque – e riassumendo - la legge n.49/2023 è conforme alla normativa europea in quanto:
1) essa ha il dichiarato intento di preservare il professionista intellettuale nell’ambito dei rapporti con “contraenti forti”;
2) opera un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche, rispetto alle quali l’operatore economico, sia esso grande o piccolo, italiano o di provenienza UE, è consapevole del fatto che la competizione si sposterà eventualmente su profili accessori del corrispettivo globalmente inteso (ad esempio, come visto, sulle spese generali) e, ancor di più, sul profilo qualitativo e tecnico dell’offerta formulata;
3) ha anche effetti pro-concorrenziali in favore del piccolo operatore economico, che sarà incentivato a partecipare alle pubbliche gare nella consapevolezza che non si troverà più a competere sulla voce “compensi” con gli operatori di grandi dimensioni.
Il TAR si premura di chiarire anche la non rilevanza al caso di specie della recente sentenza 25 gennaio 2024 della Corte di Giustizia nella causa C-438/22. Difatti in quest’ultimo caso la Corte ha censurato la definizione delle tariffe da parte di associazioni di categoria, “in assenza di qualsiasi controllo da parte delle autorità pubbliche” e nel perseguimento di un proprio interesse specifico e settoriale. Di contro, con la legge n.49/2023 il Legislatore italiano – e dunque un’autorità pubblica - ha perseguito un interesse generale di rango pubblicistico naturalmente distinto da quello considerato dalla sentenza citata in quanto volto a garantire un equo compenso di tutti i professionisti intellettuali nei rapporti con la P.A. nell’ambito delle procedure di gare, ove, evita l’offerta di prestazioni al ribasso e la possibile eliminazione, dalle pubbliche gare, degli operatori che offrono prestazioni di superiore qualità.
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In ogni caso, precisa il TAR, l’ipotizzata incompatibilità fra equo compenso e disciplina dei contratti pubblici è chiaramente smentita dal dato testuale.
Da un lato, la legge n.49/2023 prevede espressamente la sua applicabilità alla Pubblica Amministrazione e, dall’altro, l’art.8 del d.lgs. n.36/2023 impone agli Enti pubblici di garantire comunque l’applicazione dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale, con esplicita esclusione della gratuità della prestazione resa.
Né, poi, - prosegue il ragionamento del Giudice amministrativo di primo grado - potrebbe ragionevolmente sostenersi che la disciplina dell’equo compenso possa trovare applicazione per i soli contratti di prestazione d’opera di cui all’art.2230 c.c. (in quanto richiamati dall’art.2, comma 1, della legge n.49/2023) e non anche per appalti di servizi. In particolare, è questa la tesi propugnata dall’operatore ricorrente, il quale ha sostenuto che la disciplina sull’equo compenso avrebbe potuto applicarsi nel solo caso in cui la prestazione fosse stata resa da un “singolo libero professionista” in base ad un contratto d’opera “caratterizzato dall’elemento personale”, ma non anche nel caso di appalto.
Il TAR si fa carico di controbattere e demolire anche questa argomentazione.
È di tutta evidenza, infatti, che una tale ricostruzione condurrebbe ad una palese disparità di trattamento priva di qualsivoglia ragione giustificativa e pertanto palesemente illegittima, tanto più in ragione del fatto che lo stesso art.66 del d.lgs. n.36/2023 “lascia libero il professionista di scegliere di svolgere la propria attività come singolo o in forma associata”. È evidente che – in caso contrario - , la legge n.49/2023 sarebbe illegittima costituzionalmente e questo aspetto il Giudice amministrativo non ha mancato di evidenziarlo, sottolineando che tale differenza “sarebbe difficilmente giustificabile dal punto di vista logico, considerata l’ontologica corrispondenza tra le prestazioni rese dal singolo e quelle rese nell’ambito di una società/impresa”, tanto più considerando che anche in quest’ultimo caso la prestazione dovrebbe essere eseguita personalmente.
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La sentenza n. 8550/2024 del TAR Lazio ritiene pienamente legittimo anche il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa con ribasso limitato alla sola componente “spese”.
Il criterio è espressamente ritenuto applicabile anche dopo l’entrata in vigore della legge n.49/2023 in ragione del fatto che, nel caso specifico, il “prezzo” di cui al citato criterio di aggiudicazione è costituito non solo dal “compenso” del professionista (che ne rappresenta “soltanto una delle componenti”), ma anche da altre voci ed in particolare dalle “spese ed oneri accessori” ai sensi di quanto prescritto dal DM 17/06/2016.
Il “compenso” determinato ai sensi del DM 17/06/2016 non è dunque soltanto una delle voci che costituiscono il prezzo, ma è da “qualificare anche come compenso equo ai sensi della legge n. 49/2023, che sotto tale aspetto stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1”.
Ne deriva che - in quanto compenso equo - esso “deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico”, dato che, in caso di ribasso, il contratto perfezionatosi con la Pubblica Amministrazione risulterebbe affetto da nullità relativa e di protezione e dunque viziato.
Tuttavia, precisa il Giudice amministrativo, se non è ribassabile il “compenso”, sono comunque ribassabili gli oneri di cui alla voce “spese ed oneri accessori” ed è, pertanto, pienamente applicabile il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità prezzo. Ovviamente l’applicazione di quest’ultimo criterio non esclude affatto la praticabilità dell’alternativa (pur prevista da ANAC nel Bando tipo) dell’offerta economicamente più vantaggiosa a “costo fisso” con la competizione concentrata sul solo profilo tecnico.
Il TAR del Lazio, infine, passa ad esaminare anche la tesi secondo cui il riferimento alle “tariffe professionali” operato dall’art.41, comma 15 e dall’Allegato I.13 del d.lgs. n.38/2023 avverrebbe all’unico fine di determinare l’importo da porre a base di gara (“non precludendo affatto” – sosteneva la società ricorrente – “l’applicabilità di un ribasso alla base d’asta così composta”).
Ebbene, il Giudice amministrativo evidenzia come si tratti di una posizione palesemente insostenibile, in quanto incoerente con il tenore testuale dell’art.8 del medesimo d.lgs. n. 36/2023 che impone l’applicazione dell’equo compenso alle Pubbliche amministrazioni.
Ne risulta confermato – conclude la sentenza – che è del tutto indimostrato che la legge sull’equo compenso venga a collidere con le previsioni del Codice dei contratti pubblici che assicurano il confronto competitivo tra gli operatori.
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Il Consiglio Nazionale esprime convinto apprezzamento per i contenuti della sentenza n.8580/2024 del TAR Lazio che, con ampiezza di argomentazioni e solidità di ragionamenti di carattere tecnico-giuridico, si esprime a sostegno della piena efficacia delle previsioni della legge sull’equo compenso.
Come già accaduto con la precedente sentenza del TAR Veneto 3 aprile 2024 n.632, la giurisprudenza amministrativa si pone come baluardo del principio di legalità e per la piena affermazione dell’equo compenso nel campo dei contratti pubblici.
L’auspicio è che le Autorità di Governo, le Autorità indipendenti, i Comuni e le altre Amministrazioni della Repubblica guardino a questi primi pronunciamenti giurisprudenziali e ne tengano conto nella loro attività.
Il Consiglio Nazionale continuerà comunque, in tutte le sedi, nell’opera di divulgazione, promozione e difesa delle previsioni della legge n.49/2023 e degli innovativi principi ivi contenuti.
Nel frattempo, si invitano i destinatari della presente circolare a realizzarne la più ampia diffusione nel proprio ambito territoriale.
ALLEGATO: Sentenza TAR Lazio, Sezione Quinta-Ter, 30/04/2024 n.8580.
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NOTE
(1) Pubblicata sul sito Internet istituzionale.
(2) Sulla quale v. la citata circolare CNI n.156/2024.
(3) A seguito dello svolgimento del subprocedimento di verifica dell’anomalia.
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