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Rif. SZ05752
Documento 21/01/1999 SENTENZA
Fonte CORTE COSTITUZIONALE
Tipo Documento SENTENZA
Numero 2
Data 21/01/1999
Riferimento
Note INTERO TESTO - INGEGNERE ITALIANO N. 298/99 PAG. 20
Allegati
Titolo RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI - CONDANNA PENALE - RADIAZIONE DALL'ALBO AUTOMATICA - ESCLUSIONE - AUTONOMIA DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
Testo INTERO TESTO

Ritenuto in fatto

I.- Nel corso di un procedimento civile promosso dal ragioniere Daniele Colombari contro il Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali, il Tribunale di Prato, con ordinanza emessa il 29 settembre 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dell'art. 38 dei d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), nella parte in cui prevede la radiazione di diritto dall'albo dei ragionieri e periti commerciali degli iscritti che abbiano riportato condanna penale per alcuni tipi di reato (come appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta, per i quali è stato condannato il rag.Colombari).

Secondo il Tribunale la questione è rilevante, in quanto il giudizio a quo non può prescindere dall'applicazione della norma impugnata: l'attore lamenta, infatti, che dapprima il Consiglio dei Collegio di Prato e poi il Consiglio nazionale dei ragionieri abbiano adottato il provvedimento di radiazione senza aprire un procedimento disciplinare, conformemente a quanto previsto dall'art. 38 del citato d.P.R. n. 1068. Se tale norma fosse dichiarata incostituzionale, rimarrebbero travolte le decisioni dei due collegi professionali.

Inoltre, il giudice rimettente ritiene la questione non manifestamente infondata, considerato che la Corte costituzionale ha già dichiarato l'illegittimità di norme analoghe, che disponevano la destituzione di diritto per i pubblici impiegati (sentenza n. 971 del 1988) e per i notai (sentenza n. 40 del 1990) e la radiazione di diritto per i dottori commercialisti (sentenza n. 158 del 1990).

Infine, l'eliminazione della destituzione di diritto nel campo del pubblico impiego, ad opera della legge n. 19 del 1990, comporterebbe un ulteriore motivo di illegittimità della norma impugnata, essendo contrario al principio di uguaglianza che tale sanzione permanga soltanto nei confronti dei liberi professionisti, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale nella citata sentenza n. 158 del 1990.

2.- Nel giudizio avanti la Corte costituzionale non si è costituita la parte privata, né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.


Considerato in diritto

I.- Il Tribunale di Prato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 38 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale) per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Il suddetto art. 38 contiene tre distinte proposizioni normative: nel primo comma indica i motivi che, in generale, giustificano l'irrogazione della sanzione della radiazione dall'albo; nel secondo comma dispone la radiazione di diritto nel caso di condanna per una serie di delitti; nel terzo comma, infine, prevede la radiazione di diritto come conseguenza della condanna a pene accessorie ovvero del ricovero in manicomio Giudiziario o dell'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa do lavoro.

Benché il dispositivo dell'ordinanza di rimessione si riferisca all'intero articolo, dalla motivazione della stessa emerge come il giudice a quo censuri la norma nella parte in cui prevede la radiazione di diritto dall'albo dei ragionieri e periti commerciali che abbiano riportato condanna penale per alcuni tipi di reato: pertanto l'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale deve ritenersi limitato al secondo comma.

2.- La questione è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte ritiene necessario che le sanzioni destitutive, sia nel campo del pubblico impiego che in quello delle professioni inquadrate in ordini o collegi professionali, non siano disposte in modo automatico dalla legge, ma siano irrogate solo a seguito di un procedimento disciplinare che consenta di adeguare la sanzione al caso concreto secondo il principio di proporzione (v. la sentenza n. 40 del 1990).

Sulla base di tale principio sono state dichiarate costituzionalmente illegittime le norme che prevedevano la destituzione di diritto del notaio (con la citata sentenza n. 40 del 1990) e la radiazione di diritto del dottore commercialista, sancita da una disposizione identica a quella ora impugnata e contenuta in un decreto legislativo emanato nella stessa data (con la sentenza n. 158 del 1990).

Nel settore del pubblico impiego, poi, sono state dichiarate contrarie alla Costituzione la destituzione di diritto dell'impiegato, prevista dall'art. 85 dei testo unico n. 3 del 1957 (con la sentenza n. 971 del 1988), e l'analoga sanzione della decadenza dal servizio introdotta dall'art. 15, comma 4-octies, della legge n. 55 del 1990 come misura per prevenire e contrastare la delinquenza di tipo mafioso (con la sentenza n. 197 del 1993); la sospensione automatica dall'impiego e dall'abilitazione degli ufficiali di riscossione dei tributi nei cui confronti siano pendenti procedimenti penali per taluni reati (con la sentenza n. 239 del 1996); la cessazione automatica dal servizio continuativo dei carabinieri per perdita del grado, a seguito dell'irrogazione della pena accessoria della rimozione (sentenza n, 363 del 1996).

Questa Corte ha, invece, ritenuto che tali principi non sono invocabili nei casi in cui la legge preveda la decadenza automatica da ruoli o da autorizzazioni all'esercizio di determinate attività come conseguenza della perdita di un requisito soggettivo necessario per l'accesso e per la permanenza nel ruolo o per la prosecuzione del rapporto autorizzatorio (sentenze n. 297 del 1993 e n. 226 del 1997).

Anche nel campo dei pubblico impiego l'automatica esclusione dall'accesso ai pubblici uff¡cl non è stata giudicata contraria alla Costituzione, precisandosi che non è invocabile un parallelismo tra l'ipotesi dell'assunzione e quella della destituzione dei pubblico dipendente, dal momento che la prima attiene ai requisiti soggettivi indicati dal legislatore per la scelta dei più idonei aspiranti all'accesso, mentre la seconda comporta la rimozione di uno status già acquisito (sentenze n. 203 del 1995 e n. 249 del 1997).

3.- La professione di ragioniere e perito commerciale è inquadrata in un collegio professionale, ai sensi del d.P.R. n. 1068 del 1953. Tale normativa prevede che gli iscritti all'albo possano essere sottoposti a procedimento disciplinare e, all'art. 36, qualifica espressamente come sanzione disciplinare la radiazione dall'albo, regolata specificamente dal successivo art. 38, impugnato nel presente giudizio.

In base ai precedenti di questa Corte, il Tribunale di Prato censura fondatamente la norma nella parte in cui stabilisce l'automatica radiazione di diritto dall'albo dei ragionieri e periti commerciali degli iscritti che abbiano riportato condanna penale per alcuni tipi di reato. Ed invero - come già rilevato nella sentenza n. 158 del 1990, che ha dichiarato illegittima una norma del tutto identica a quella oggetto del presente giudizio, relativa al dottori commercialisti - l'automatismo della sanzione disciplinare è irragionevole, contrastando con il principio di proporzione, che è alla base della razionalità che informa il principio di eguaglianza.

Inoltre come è stato già affermato (sentenza n. 40 del 1990) - dopo la soppressione dell'istituto della destituzione di diritto nel campo dei pubblico impiego risulterebbe contrario al principio di uguaglianza che tale tipo di sanzione rimanesse fermo soltanto per le libere professioni.

Risulta dunque violato, sotto entrambi i suddetti profili, l'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 38 del D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), nella parte in cui prevede la radiazione di diritto dall'albo dei ragionieri e periti commerciali che abbiano riportato condanna penale per i reati indicati nel secondo comma dello stesso articolo.



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