Stampa documento Stampa Invia una e-mail al CNI bancadati@cni-online.it
Rif. DV06405
Documento 22/03/2000 DOCUMENTO PER L'AUTORITA' DI VIGILANZA SUI LAVORI PUBBLICI
Fonte CNI - CNA
Tipo Documento DOCUMENTO PER L'AUTORITA' DI VIGILANZA SUI LAVORI PUBBLICI
Numero
Data 22/03/2000
Riferimento Protocollo CNI n. 2671 del 11/04/2000
Note
Allegati
Titolo FUNZIONI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - BANDO DI GARA - SOCIETA' DI INGEGNERIA - IMPORTI INFERIORI AI 200.000 ECU - ESCLUSIONE - DEDUZIONI IN MERITO
Testo Il sottoscritto Avv. Antonio M. Leozappa, in nome e per conto del Consiglio Nazionale degli Architetti, in persona del suo legale rappresentante p.t.,
dott.arch. Raffaele Sirica, e del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, in persona del suo legale rappresentante p.t., dott.ing. Sergio Polese- che qui
sottoscrivono per delega- si pregia di riscontrare la comunicazione del 21 febbraio 2000, prot. 2179/00/PRE, di codesta Autorità rappresentando quanto segue.

Premessa

L'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha inoltrato - in data 21 febbraio 2000- richiesta di valutazione al Consiglio nazionale degli Architetti e al
Consiglio Nazionale degli Ingegneri relativamente alla soluzione di problemi interpretativi ed applicativi in ordine al disposto di cui all'art.l7, comma 4,
della legge 11 febbraio 1994, n 1O9.

Più specificamente, l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (in prosieguo, Autorità) ritiene necessario, con l'apporto delle amministrazioni e degli
enti rappresentativi di apparati e interessi del settore dei lavori pubblici, procedere:

a) a valutare la compatibilità con l'art.49 del Trattato, relativo al principio della libera prestazione di servizi, dell'art.17, comma 4, della legge
n.109/1994 (in prosieguo, Legge), che esclude le società di ingegneria dagli incarichi di progettazione il cui prezzo stimato sia inferiore a 200.000 Ecu,
salvo il caso di lavori particolarmente complessi e che richiedono una organizzazione specifica;

b) a verificare se l'art.17, commi 6, 7 e 8 della Legge si applichi o meno ai soggetti residenti in altri Stati membri dell'Unione europea;

c) a valutare la compatibilità con l'art.49 del Trattato dell'art.17, comma 12, della Legge che per gli incarichi il cui importo sia inferiore a 40.000 Eeu
stabilisce che possano essere aggiudicati a "persone di fiducia" delle stazioni appaltanti.

Diritto

Nella succitata nota del 21 febbraio 2000 l'Autorità ha richiamato l'iniziativa assunta dalla Commissione europea che in data 27 agosto 1999 ha richiesto al
Governo italiano informazioni e chiarimenti in ordine alle disposizioni contenute nell'art. 17, commi 4, 6, 7, 8 e 12 della legge.

Nel premettere che il Consiglio Nazionale degli Architetti (in prosieguo, CNA) già in data 18 novembre 1999 ha provveduto a inoltrare alla Commissione europea
parere in merito, con le deduzioni che qui si ripropongono e affermano, vale immediatamente entrare nel merito dei quesiti.

1. Quanto al primo dei tre quesiti, si osserva che l'origine dei dubbi di compatibilità dell'art.l7, comrna 4, della Legge con l'art. 49 del Trattato Ue è da
rinvenirsi nella seguente ricostruzione del quadro normativo:

a) l' art. 17, comma 4, della Legge stabilisce che alle società di ingegneria possono essere affidate attività di progettazione solo se il prezzo stimato è
pari o superiore a 200 000 Ecu, escluso il caso di lavori particolarmente complessi e che richiedono una organizzazione specifica;

b) "la finalità della norma in esame è quella di salvaguardare i professionisti individuali, i quali non avendo una struttura complessa, come invece
possiedono le società di ingegneria, potrebbero essere impossibilitati di fatto a competere con dette società nelle gare per l'affidamento di incarichi di
progettazione";

e) "si è voluto, di conseguenza, creare una 'nicchia' di protezione in cui lasciar operare solamente professionisti a titolo individuale".

Di qui il quesito sulla compatibilità della disposizione con i principi dell'ordinamento comunitario - ("ma la creazione di questa 'nicchia' quanto risulta
compatibile con la normativa comunitaria?")- in linea con quanto ritenuto dalla recente giurisprudenza del TAR Molise 20 luglio-10 agosto 1999, n 432, per il
quale l'art.17, comma 4, della Legge sarebbe "una disposizione di carattere palesemente protezionistico".

2. Con riferimento al quesito qui posto, merita immediatamente accertare il significato e la portata del succitato art.l7, comma 4, della Legge: disposizione
che, come è e notorio, costituisce articolazione di un più ampio quadro normativo per il quale l'attività di progettazione può essere altresì effettuata dagli
uffici interni (cosiddetta progettazione interna) e da organi associativi esterni delle stazioni appaltanti, dagli organi previsti dalla legge, dalle "società
di professionisti" e da "liberi professionisti singoli od associati" nonché da loro "raggruppamenti temporanei" (c.d. progettazione esterna).

La legislazione riserva, in sostanza, l'attività di progettazione c.d esterna a due categorie di soggetti: alle società di ingegneria e ai professionisti
nell'uno e nell'altro caso il legislatore si è premurato di assicurare la regolarnentazione dei requisiti che tali soggetti devono possedere.

Per quanto concerne le figure societarie, l'art.17, comma 7, della Legge demanda, infatti, all'emanando regolamento la previsione dei "requisiti organizzativi
e tecnici che devono possedere" le società di ingegneria e quelle professionali; mentre all'ottavo comma lo stesso articolo impone che "indipendentemente
dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell'incarico ... lo stesso deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai
vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell'offerta, con la specificazione
delle rispettive qualificazioni professionali".

Per quanto concerne i professionisti, i requisiti di capacità, conoscenza e onorabilità sono prescritti e assicurati dagli ordinamenti di categoria, la cui
disciplina, ovviamente, integra quella settoriale dettata dalla Legge per i lavori pubblici (v. Regio decreto 23 ottobre 1925, n 2537, recante "Regolamento
per le professioni di ingegnere e di architetto").

A tale previsione corrisponde per quanto concerne la progettazione c. d. interna l'obbligo di far firmare il progetto ai - dipendenti delle amministrazioni
abilitati all'esercizio della professione" che l'art.17, cornma 2, della Legge impone alle stazioni appaltanti nel caso di progettazione c d. interna.

3. La rapida ricognizione del quadro normativo in materia di progettazione di lavori pubblici mostra come il legislatore si sia premurato di assicurare che la
stessa sia espletata da soggetti qualificati.

Il tutto in osservanza e attuazione del precetto dell'art.33, comma 5, della Costituzione.

Come rilevato dalla Corte Costituzionale "la legge può riservare agli iscritti in appositi albi l'esercizio di determinate professioni che presuppongono una
particolare capacità tecnica ed il cui esercizio richiede, per assicurare il corretto svolgimento dell'attività professionale, sia a garanzia della
collettività che a protezione dei destinatari delle prestazioni, una specifica idoneità (sentenze n.456 del 1993; n.29 del 1990 e n.77 del 1964). Per
l'abilitazione all'esercizio professionale è prescritto un esame di Stato (art.33, quinto comma, della Costituzione), che consente di verificare l'idoneità
tecnica di chi, avendo i requisiti richiesti, intenda accedere alla professione ottenendo l'iscri-zione nell'apposito albo. Il legislatore può stabilire che
in taluni casi si prescinda dall'esame di Stato (sentenza n.l27 del 1985) quando vi sia stata in altro modo una verifica di idoneità tecnica e sussistano
apprezzabili ragioni che giustifichino l'eccezione" (Corte Cost. sentenza 18-21 gennaio 1999, n.5).

4. Un disegno normativo, del resto, pienamente compatibile con l'ordinamento comunitario, come ha evidenziato la stessa Corte di Giustizia che, secondo
giurisprudenza consolidata, ha ritenuto che 'tenuto conto delle speciali caratteristiche delle prestazioni di servizi, non si possono tuttavia considerare
incompatibili col Trattato i requisiti specifici che il prestatore deve possedere in forza di norme sull'esercizio della professione - norme in tema
d'organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità- giustificate dal pubblico interesse ed obbligatorie nei confronti di
chiunque risieda nello Stato ove la prestazione è effettuata". Una compatibilità che assume pieno significato ove si tenga presente che la Corte ha altresì
precisato che "è, del pari, giusto riconoscere ad uno Stato membro il diritto di provvedere aff1nché un prestatore di servizi, la cui attività si svolga per
intero o principalmente sul territorio di detto Stato, non possa utilizzare la libertà garantita dall'art.59 allo scopo di sottrarsi alle norme sull'esercizio
della professione la cui osservanza gli sarebbe imposta ove si stabilisca nello Stato in questione. Una simile situazione deve infatti venir regolata dalle
norme sul diritto di stabilimento e non dalle norme sulle prestazioni di servizi" (sentenza del, dicembre 1974, causa 33/74).

Pronunciandosi in merito alla possibìlità che -"qualsiasi disciplina nazionale che si applichi ai cittadini di tale Stato e si riferisca normalmente ad
un'attività permanente delle imprese stabilite in tale Stato possa essere integralmente applicata anche ad attività di carattere temporaneo esercitate da
imprese aventi sede in altri Stati membri", la Corte ha inoltre rilevato che -tenuto conto delle speciali caratteristiche di talune prestazioni di servizi,
non si possono considerare incompatibili col Trattato talune condizioni specifiche, eventualmente imposte al prestatore di servizi, che siano giustificate
dall'applicazione di norme relative a questo tipo di attività. Tuttavia la libera prestazione dei servizi, in quanto principio fondamentale sancito dal
trattato, può venire limitata solamente da norme giustificate dal pubblico interesse e obbligatorie nei confronti di tutte le persone e le imprese che
esercitino la propria attività sul territorio di tale Stato, nella misura in cui tale interesse non risulti garantito dalle norme alle quali il prestatore di
servizi è soggetto nello Stato membro in cui è stabilito" (sentenza del 17 dicembre 1981, causa 279/80).

5. Ora, se si tiene in conto che sia la Costituzione italiana all'art. 9, secondo comma, e all'art.41, secondo comma, afferma, rispettivamente, che la
Repubblica "tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione'', e che "(l'iniziativa economica privata) non può svolgersi in contrasto
con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana"; sia lo stesso ordinamento comunitario al 4ø Considerando
della Direttiva 85/384 espressamente riconosce che "la creazione architettonica, la qualità edilizia, il loro inserimento armonico nell'ambiente circostante e
il rispetto del paesaggio e dell'assetto urbano nonché del patrimonio collettivo pubblico e privato rivestono un interesse pubblico", non si può non
ricondurre la attività di progettazione nell'ambito delle prestazioni professionali che "presuppongono una particolare capacità tecnica e il cui esercizio
richiede... sia a garanzia della collettività che a protezione dei destinatari delle prestazioni, una specifica idoneità".

6. In questo quadro, l'opzione legislativa di richiedere requisiti specifici in capo al progettista, almeno in via di principio, non solo appare compatibile
con i principi che in materia reggono l'ordinamento nazionale comunitario, ma può essere affatto pacificamente considerata come l'intervento nel quale
siffatti principi trovano piena attuazione.

E' sulla base di questi presupposti che, infatti, deve essere apprezzata la disposizione di cui all'art.l7, comma 4, della Legge. La norma, si è visto, mira a
consentire alle società di ingegneria l'aggiudicazione di incarichi:

a) al di sopra dei 200.000 Ecu;
b) relativi ad opere di speciale complessità e che richiedono una speciale organizzazione il cui importo sia al di sotto dei 200.000 Ecu.

7. Prima di entrare nel merito della ratio della disposizione, vale preliminarmente soffermare l'attenzione sulla natura delle società di ingegneria.

Le società di ingegneria possono essere ricondotte nell'ambito della categoria delle "società di servizi" (v. per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 27 novembre
1996, n.1248) e possono essere costituite anche da non professionisti, come si evince argomentando a contrario dall'art.17, comma 6, lettera a) della Legge
che per le "società di professionisti" ammette che alla compagine sociale possano partecipare i soli "professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai
vigenti ordinamenti professionali". La possibilità di ricorrere ai tipi della società per azioni, della società in accomandita per azioni e della società a
responsabilità limitata porta a escludere che la categoria delle società di ingegneria debba essere informata a quel connotato personalistico che, di contro,
caratterizza, appunto, il rapporto professionale, anche in una prospettiva collettiva.

I tipi societari richiamati dal succitato art.l7, comma 6, lettera a) sono caratterizzati piuttosto dalla personalità giuridica e dalla responsabilità
limitata, con un regime che ai fini della loro qualificazione come società di professionisti, secondo il parere del Consiglio di Stato, "ben difficilmente
(...) si sottrarrebbe a possibili censure di legittimità costituzionale per la violazione degli artt.3 e 33 Cost. sotto l'assorbente profilo della illogica
disparità di trattamento normativo che si determinerebbe tra professionisti individuali e società professionali, almeno in ordine al regime giuridico della
responsabilità patrimoniale nei confronti dei terzi. Ed è ben noto come costituisca canone ermeneutico basilare per l'interpretazione delle fonti normative
quello secondo cui, nel dubbio, alle disposizioni della legge deve essere data l'interpretazione conforme e non già difforme rispetto al dettato
costituzionale" (parere Cons. Stato 11 maggio 1998).

In questo quadro, nessun dubbio sorge sul fatto che nell'ordinamento interno le società di ingegneria devono essere ricondotte nell'alveo delle "società di
servizi" (v. di recente Cons. Stato, parere 11 maggio 1998) e, anzi, non si è lontani dal vero nel ritenere che proprio a seguito e a condizione di siffatta
qualificazione tali società trovano piena legittimazione, non potendo "omettersi di considerare che l'art.33 Cost. presuppone la esistenza di un tessuto
normativo ordinamentale, di rango primario, sia pure a livello di legislazione ordinaria, che fa perno sui concetti fondamentali di libera professione di
esercizio professionale e di disciplina normativa degli stessi...

Ed è proprio in tale tessuto normativo che trova collocazione il regime della responsabilità del professionista: regime al quale deve necessariamente essere
sottoposto anche l'ente collettivo legittimato al medesimo esercizio professionale del professionista individuale" (parere Cons. Stato, 11 maggio 1998).

A ulteriore supporto vale qui ricordare che nella Legge è stato abrogato il riferimento al tipo della società cooperativa che è stata invece richiamata nella
lettera a) dello stesso comma dell'art. 17 tra i tipi utilizzabili per le società di professionisti, quasi a voler marcare la differenza rispetto al carattere
personalistico cui risultano informate queste ultime.

Non è difficile rinvenire nella scelta del legislatore eco della giurisprudenza che è stata chiamata a pronunciarsi sulla liceità delle società di ingegneria
alla luce dei ripetuti interventi di legislazione speciale che hanno introdotto siffatte società nell'ordinamento giuridico italiano.

Tale giurisprudenza ha sostenuto tanto in sede civile quanto amministrativa che l'attività di engineering per poter essere legittimamente oggetto di esercizio
societario deve essere "non identica" a quella tipica dell'ingegnere o dell'architetto, per cui possono considerarsi lecite quelle società nel cui ambito
organizzativo ed operativo, pur potendosi "intravedere o presumere un apporto elaborativo e concettuale di soggetti dotati di formazione professionale
corrispondente a quella dell'ingegnere o dell'architetto, ciò non toglie che i risultati di quell'apporto possano presentarsi come suggeriti, condizionati e
strumentalizzati da fattori di tutt'altra provenienza, così da risultare in definitiva fusi ed amalgamati nella formulazione di un prodotto o di una utilità
nuova, in espressione di quella capacità pragmatica ed interdisciplinare tipica dell'impresa di servizio" (Cass.civ., n 566/1988).

Si tratta di una pronuncia della Corte di Cassazione risalente al 1985, che ha trovato pacifico seguito nella giurisprudenza più recente e, in particolar
modo, anche in quella chiamata a decidere sull'applicazione della legge 11 febbraio 1994, n.109 (c.d. Merloni), e della legge n.216/1995 (c.d. Merloni-bis)
(v., per tutte, Cons. Stato, 27 novembre 1996, n.1248; Cass.civ. 26 gennaio 1996, n.590; Cass civ., 30 gennaio 1995, n.566; Cass civ. 10 giugno 1994, n 5648;
Tar Umbria, 31 gennaio 1998, n.136)

Corollario naturale e che in un'ottica contrattuale all'attività professionale esercitata congiuntamente secondo modalità e tipi diversi da quelli previsti
per legge consegue la nullità dei contratti stipulati (v. per tutte, Cass.civ. 26 gennaio 1996, n. 590; Cass. Civ, 10 giugno 1994, n 5648).

Alla luce della ricostruzione appena svolta e affatto pacifica nella interpretazione giurisprudenziale e dottrinale, non si può fare a meno di ritenere che la
previsione di cui all'art. 17, comma 4, della Legge debba essere apprezzata alla luce degli altri principi che reggono nell'ordinamento interno la attività di
progettazione.

Muovendo dal presupposto per cui la progettazione è una attività che deve essere espletata da soggetti in possesso di specifici requisiti di capacità e
professionalità, la sua realizzazione non può che essere di competenza dei soggetti dei quali è stata accertata la specifica idoneità.

La possibilità per soggetti diversi quali le società di ingegneria di svolgere tale attività è subordinata e condizionata al fatto che l'utilità
contrattualmente promessa dalla società di ingegneria, pur presupponendo "la disponibilità e lo sfruttarnento ... di una serie di esperienze e di conoscenze,
scientifico e tecniche, essenzialmente proprie dell'esercente la professione di ingegnere-architetto", non si esaurisca in queste, ma si configuri in modo che
"i risultati di quell'apporto possano presentarsi come suggeriti, condizionati e strumentalizzati da fattori di tutt'altra provenienza, così da risultare in
definitiva, fusi ed amalgamati nella formulazione di un prodotto o di una utilità 'nuova', in espressione di quella capacità pragmatica ed interdisciplinare
tipica dell'impresa di servizio" (Cass.civ., n.566/1985).

A tale circostanza corrisponde l'elemento dimensionale, ossia alla circostanza di fatto e di diritto per cui l'opera del professionista risulta strumentale
all'organizzazione, la quale diventa il vero fulcro di un'attività di natura industriale che si esplica attraverso quelle che sono state definite, con un
neologismo tratto dalla dottrina economica americana le 'tecnostrutture"' (Trib Milano, 19 marzo 1979).

9. Ne consegue che il disposto dell'art.l7, comma 4 della Legge che riconosce alle società di ingegneria la possibilità di aggiudicarsi i progetti di lavori
particolarmente complessi che richiedono una particolare organizzazione e quelli al di sopra di 200.000 Ecu risulta affatto coerente con i principi del
sistema che solo nel caso in cui la prestazione professionale "appare decisamente inadeguata rispetto alle finalità peculiari della progettazione industriale,
che non può di fatto essere affidata a singoli professionisti o a studi tecnici che comunque conservino una nitida impronta personalistica ma al contrario
postula una complessa orgarnizzazione di uomini e mezzi che soltanto un'attività strutturata su base imprenditoriale può garantire" (pret. genova, 20 febbraio
1974) ammettono la possibilità di conternperare il rigore dei requisiti dl capacità, onorabilità e professionalità che la tutela dell'interesse generale
richiede in capo all'aggiudicatario della progettazione.

In altre parole, è convinzione che il problema da affrontare più che quello di individuare le ragioni per cui le società di ingegneria non possono éssere
aggiudicatarie degli incarichi di progettazione il cui importo è inferiore a 200 000 Ecu, salvo il caso di opere complesse e che richiedono una particolare
organizazione, è quello di individuare i termini e le condizioni alle quali le società di ingegneria possono risultare affidatarie di incarichi, come quello
della progettazione, che incidono su interessi generali (v. Direttiva 85/384, cit.)

Ciò in quanto, riprendendo le parole della Corte di Cassazione "quand'anche non si ponesse il problema della nullità della società tra professionisti,
potrebbe pur sempre individuarsi la nullità del singolo contratto in cui l'attività sociale si fosse espressa, per contrarietà a norme imperative, in
situazioni non disponibili" (Cass. Civ., n.590/1996).

Ecco perché non si può fare a meno di ritenere affatto riduttivo il ragionamento di recente giurisprudenza tutto incentrato sull'osservazione degli "effetti
pratici" dell'art. 17, comma, della Legge; giurisprudenza che giunge affatto riduttivamente a sanzionare la disposizione sull'assunto che la stessa è stata
introdotta "senza alcuna enunciazione di ragione giustificativa e senza che possa pervenirsi, in via interpretativa, alla ricostruzione della ratio legis" (v
T.A.R Molise, cit.).

10. Diversamente, alla luce della ricostruzione dell'ordinamento sin qui svolta, non è certo difficile rinvenire ed evidenziare l'intima e assoluta coerenza
del disposto normativo dell'art.l7, comma 4, della Legge che qui interessa: la norma consente di aggiudicare gli incarichi di progettazione il cui importo sia
superiore a 200.000 Ecu nonché gli incarichi relativi a opere complesse che richiedono una particolare organizzazione alle società di ingegneria, ossia a quei
soggetti che sono organizzati per fornire una utilità nella quale la prestazione intellettuale e la capacità pragmatica ed interdisciplinare tipica
dell'impresa di servizio si fondono.

L' interesse generale di cui all'art.9 secondo comma, della Costituzione e al 4 Considerando della Direttiva 85/184 nonché l'interesse generale dell'art 41,
secondo comma, della Costituzione trovano qui piena tutela nei termini in cui il legislatore nel prendere atto che la progettazione può essere il risultato
sia di una prestazione meramente intellettuale sia di una elaborazione più articolata composta da elementi intellettuali e tecnici, ha inteso assicurare la
soddisfazione delle sue finalità peculiari consentendo che le imprese possano espletarla nel caso in cui il progetto, per la sua intrinseca articolazione,
venga a configurarsi come la risultanza di un servizio.
Si tratta di una deroga al sistema di tutela che assicura la realizzazione dell'illteresse generale mediante la richiesta di specifici requisiti di capacità,
prot`essionalità e onorabilità in capo al prestatore.

11. Un'opzione, quella legislativa, che trova piena conferma nella giurisprudenza consolidata della stessa Corte di Giustizia Europea che, giova ricordare,
nella stessa sentenza richiamata dalla Commissione Europea (C222/95) nell'affermare che "gli artt.59 e 60 del Trattato prescrivono non solo l'eliminazione di
qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione
di qualsiasi restrizione, anche qualora si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da
vietare, da ostacolare o da rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamente servizi
analoghi", chiarisce che "la libera prestazione di servizi, in quanto principio fondamentale del Trattato, può essere limitata soltanto da norme giustificate
da motivi imperativi di pubblico interesse e che si applicano ad ogni persona o impresa che svolga un'attività sul territorio dello Stato destinatario, nella
misura in cui tale interesse non sia salvaguardato dalle norme alle quali è assoggettato il prestatore nello Stato membro in cui è stabilito. In particolare,
detti obblighi devono essere obiettivamente necessari per garantire l'osservanza delle norme professionali e per assicurare la tutela del destinatario dei
servizi e non devono esorbitare da quanto è necessario per raggiungere questi obiettivi".

Nel caso di specie, la limitazione dell'art.l7, comma 4, della Legge trova piena giustificazione sia a livello nazionale che comunitario nell'interesse
generale a che la progettazione sia effettuata dai soggetti in possesso dei requisiti di capacità, professionalità e onorabilità specificamente accertati.
Previsione a cui consegue, quale corollario naturale. La indisponibilità convenzionale delle norme che regolano la personalità della prestazione professionale
e la responsabilità illimitata del professionista (v. per tutti, Cass.civ. n.590/1996; Cons.Stato parere 11 maggio 1998).

12. In questa prospettiva trova altresì pieno apprezzamento l'opzione legislativa di imporre ai sensi dell'art. l7, comma G, della Legge che l'incarico di
progettazione affidato alla società di ingegneria sia espletato da parte di "professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti
professionali": il vincolo soggettivo vuole assicurare che la progettazione venga espletata da soggetti in possesso dei requisiti richiesti dalla legge.

13. Al contempo la lettura della disposizione alla luce del quadro normativo in materia consente di comprendere le ragioni per cui la disposizione de quo
assume carattere eccezionale.

Non può infatti essere trascurato che l'art. 2104 cc. che disciplina nell'ordinamento interno la diligenza del prestatore di lavoro espressamente riconosce
rilevanza giuridica all'"interesse dell'impresa": il che porta a ritenere che nel caso in cui l'incarico di progettazione sia affidato a una società di
ingegneria la prestazione del professionista, in considerazione del rapporto di lavoro subordinato che normalmente intercorre con la società di ingegneria,
deve tener conto non più della sola "natura della prestazione dovuta", ma anche di quell'ulteriore criterio che è dato dall' "interesse dell'impresa", un
criterio - giova ricordarlo - proprio ed esclusivo dell'organizzazione imprenditoriale.

Si tratta, vale ancora osservare, di un criterio che impedisce di equiparare la figura del progettista che svolge la sua attività nella società di ingegneria
al libero professionista e, quindi, di estendere sic et simpliciter al primo la soddisfazione delle garanzie che la legge assicura imponendo in capo a
quest'ultimo il possesso di specifici requisiti.

E' indubbio, infatti, che la prestazione del progettista legato da un rapporto di lavoro subordinato alla società di ingegneria ha i suoi criteri e principi
di riferimento non più solo - come per il libero professionista - nella natura della prestazione richiesta, ma "nell'interesse dell'impresa" che si è
aggiudicata l'incarico di progettazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 2104 del codice civile.

Ecco perché, ancora una volta, non può che apparire affatto riduttivo e infondato il ragionamento di recente giurisprudenza che ha preteso di fondare il
giudizio di incompatibilità sull'assunto per cui "non deve trascurarsi il rilievo che l'attività intellettuale necessaria all'elaborazione progettuale, di
qualsiasi genere e livello di compenso, configura un dato che prescinde da fattori di organizzazione e che pertanto, non può introdursi alcuna
differenziazione tra i servizi resi da singolo professionista o forme aggregative professionali e società di ingegneria, avuto riguardo all'istituzionale
equivalenza delle prestazioni rispettive, a pena di una inammissibile discriminazione" (v. TAR Molise, cit.)

14. Alla luce di tale notazione, non è certo difficile comprendere il prudente atteggiamento del legislatore e la coerenza della sua opzione di consentire
l'espletamento della progettazione da parte delle società di ingegneria solo in casi tipizzati nei quali l'esigenza di salvaguardare l'interesse pubblico deve
necessariamente trovare contemperamento, in punto di fatto ancora prima che di diritto, nell'esigenza di assicurare la finalità propria della progettazione:
si tratta dei casi nei quali, appunto, il progetto viene a configurarsi come risultanza di un servizio, di un servizio del quale la prestazione intellettuale
costituisce solo una delle componenti, in coerenza con la ratio del sistema che individua le ragioni della loro liceità nella capacità di assicurare una
utilità ulteriore rispetto a quella propria del singolo professionista.

In questa ipotesi, infatti, la prestazione intellettuale del professionista può, in via astratta e generale, non essere in grado di soddisfare pienamente le
finalità specifiche della progettazione. Per cui l'esigenza di tutela in ragione della quale l'ordinamento richiede il possesso di specifici requisiti in capo
al progettista può essere soddisfatta mediante la predisposizione di misure in grado di contemperare siffatta esigenza con quell'elemento dimensionale senza
il quale la finalità stessa della progettazione rischia di essere disattesa.

L'affievolimento del sistema di garanzia risponde a una ragione di necessità, ma proprio la circostanza di fatto e di diritto per cui l'opzione legislativa
trova la sua giustificazione in una ragione di necessità fa comprendere il motivo per cui la stessa non può essere eretta a principio di sistema

15. In conclusione, è convinzione che la previsione dell'art. l7, comma 4, della Legge là dove prescrive che gli incarichi di progettazione possono essere
affidati alle società di ingegneria nel caso di opere di particolare complessità e che richiedono una specifica organizzazione è compatibile con i principi
comunitari nei termini in cui la limitazione ivi prevista è "giustificata da motivi imperativi di ordine pubblico" e si applica "ad ogni persona o impresa che
svolga un'attività sul territorio dello Stato destinatario".
La limitazione inoltre è "obiettivamente necessaria per garantire l`osservanza delle norme professionali e per assicurare la tutela del destinatario dei
servizi". Come è agevole constatare, la stessa non risulta esorbitare "da quanto necessario per raggiungere questi obiettivi" posto che si tenga in debito
conto che alla luce dell'art.33, comma 5, della Costituzione e del 4øConsiderando della Direttiva 85/3X4/CEE, l'attività di progettazione, incidendo su
interessi generali, deve essere espletata da soggetti nei cui confronti sia stato accertato il possesso di idonei requisiti di capacità, professionalita e
onorabilità.

La tassatività del precetto trova contemperamento nell'esigenza di assicurare la finalità di una (particolare) progettazione che nei termini in cui si
configura come risultanza di un servizio nella quale l'elemento intellettuale si fonde con quello tecnico, non può essere almeno in via di principio-
assicurato dal mero professionista.

16. Quanto al secondo quesito, si ritiene che l'interesse generale che - come qui diffusamente argomentato - giustifica la limitazione introdotta dall'art.
17, comma 4, della Legge, impone che i requisiti di qualificazione siano posseduti da tutti i soggetti operanti sul territorio nazionale, ancorchè
appartenenti ad altro Stato della Unione europea, in linea con quanto affermato dalla succitata sentenza Corte di giustizia europea del 17 dicembre 1981,
causa 279/80, per la quale - giova ricordare - "la libera prestazione dei servizi, in quanto principio fondamentale sancito dal Trattato, può venire limitata
solamente da norme giustificate dal pubblico interesse e obbligatorie nei confronti di tutte le persone e le imprese che esercitino la propria attività sul
territorio di tale Stato, nella misura in cui tale interesse non risulti garantito dalle norme alle quali il prestatore di servizi è soggetto nello Stato
membro in cui è stabilito".

17. Venendo al terzo quesito, nella succitata nota del 21 febbraio 2000 si sollevano dubbi sulla compatibilità con il principio di parità di trattamento
dell'art. 17, comma 12, della Legge nella parte in cui dispone che gli incarichi di progettazione il cui importo sia inferiore a 40.000 Ecu possono essere
aggiudicati "a persone di fiducia " della stazione appaltante.

A tale riguardo si rinvia alla comunicazione della Commissione europea del 27 agosto 1999, per cui è opportuno qui richiamarne la ricostruzione svolta:

a) "la mancanza di trasparenza nella procedura per la scelta dei contraenti svuota di ogni sostanza il principio di parità di trattamento, perché gli
operatori dei vari Stati non sono tutti sullo stesso piano":

b) "il principio di parità di trattamento, di cui all'art. 19 del Trattato Ce è un'espressione particolare, proibisce (...) anche ogni forma dissimulata di
discriminazione che, attraverso l'applicazione di altri criteri di distinzione ottengono di fatto lo stesso risultato";

c) "esiste il fondato timore che il contraente da scegliere tra persone di fiducia, finisce con l'essere un'impresa italiana, che le imprese straniere
prestatrici di servizi non abbiano probabilità di successo e che ciò non sia giustificato da una delle ragioni di interesse generale, di cui all'articolo 46
del trattato Ce"

19. La ricostruzione della Commissione non può che meritare apprezzamento. La disposizione aveva suscitato immediate riserve sia da parte della Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato (v. parere 3 settembre 1997 reso sul disegno di legge n.2888 per la modifica della legge quadro) sia da parte della
Corte dei Conti (v. Sezione controllo, III Collegio, Relazione sulla gestione dei lavori pubblici da parte delle Amministrazioni dello Stato relativa agli
esercizi 1995-1996-1997 approvata dalla Sezione del controllo con delibera n 81/98 nella seduta del 18 giugno 1998) per l'assenza di pubblicità e trasparenza.

Al contempo non è forse inutile sottolineare che gli interpreti hanno già da tempo messo in evidenza che la norma risponde all'esigenza di contemperare i
principi generali della trasparenza e del buon andamento con l'esigenza di garantire la proporzionalità tra le modalità procedurali e il corrispettivo
dell'incarico.

Ora se si tiene presente che l'obbligo di motivazione imposto dall'art.l7, comma 12, ultima parte, consente di escludere che l'affidamento anche in questa
fascia di importo possa essere basato sull' intuitus personae non si può fare a meno di ricordare come l'affidamento dell'incarico dovrà effettuarsi nel
rispetto dei principi che l'ordinamento pone alla base dell'esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione. La norma, infatti ove letta alla luce dei
principi dell'ordinamento, non autorizza una scelta arbitraria dell'appaltatore ma prescrive che la valutazione sia sufficientemente motivata, non affetta da
ingiustizia manifesta, non affetta da disparità di trattamento, non affetta da travisamento dei fatti, non affetta da illogicità e contraddizione.

A ciò si aggiunga che l'affidamento degli incarichi sotto i 40.000 Ecu, ai sensi dell'art. 17 comma 12, "può" e non "deve" avvenire secondo criteri fiduciari,
per cui nulla osta all'espletamento di procedure concorsuali da parte delle stazioni appaltanti.

20. In base alle considerazioni appena svolte è convinzione che la disposizione dell'art.l7, comma 12, potrebbe non configurare una violazione del principio
di parità di trattamento di cui all'art. 49 del trattato Ce nei termini in cui lo stesso legislatore all'art.3, comma 1, della Legge ha espressamente
demandato al regolamento di delegificazione il compito di dettare regole integrative e attuative con riferimento "alle procedure di affidamento degli appalti
(...) nonchè degli incarichi di progettazione".

Alla luce di siffatta previsione, infatti, può ritenersi che la disciplina della legge si limita a introdurre i principi ai quali deve essere necessariarnente
informata la regolamentazione di dettaglio demandata alla potestà governativa.

21. Ora, muovendo dall'assunto per cui l'art 17, comma 12 della Legge deve essere interpretato in un'ottica sistematica e, quindi, anche alla luce e
coerentemente con i principi che sovrintendono l'azione amministrativa, non si può fare a meno di ritenere che il giudizio di legittimità debba essere
subordinato e condizionato all'apprezzamento dei termini in cui sarà esercitata la potestà regolamentare che l'art.3 della Legge demanda al Governo.

A tale risultato si perviene per espressa previsione della Legge che all'art 3, comma 2, stabilisce che "nell'esercizio della potestà regolamentare di cui al
comma 1 il Governo ... adotta apposito regolamento (...) che, insieme alla presente legge, costituisce l'ordinamento generale in materia di lavori pubblici
(...)".

Corollario naturale è che per poter apprezzare compiutamente la disciplina in materia e, quindi, per poter valutare la compatibilità degli istituti con i
principi comunitari è indispensabile attendere l'esercizio della potestà regolamentare del Governo.

Questa conclusione trova pieno e compiuto significato ove si tenga presente che il regolamento de quo rientra nella categoria dei c.d. regolamenti delegati,
dovendo la potestà governativa essere esercitata ai sensi e per gli effetti dell'art 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n 400.

22. In questa prospettiva, nel momento in cui si prende atto che nel disegno del legislatore la disciplina in materia di lavori pubblici ha sede solo in primo
luogo nella legge ordinaria, dovendo quest'ultima essere completata in sede regolamentare, non si può fare a meno di sottolineare il disposto dell'art3, comma
2, che a proposito del regolamento espressamente stabilisce che il "predetto atto assume come norme regolatrici, nell'ambito degli istituti giuridici
introdotti dalla normativa comunitaria vigente e comunque senza pregiudizio dei principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi,
la presente legge, nonchè, pre quanto non da essa disposto, la legislazione antimafia e le disposizioni nazionali di recepimento della normativa comunitaria
vigente nella materia di cui al comma 1 (...)".

E' chiaro che tra i compiti che il legislatore ha demandato al Governo c'è anche quello di conformare la disciplina interna ai principi comunitari. Si tratta
di un compito specifico che, quindi, ben autorizza a ritenere che il giudizio di legittimità sul precetto del'art.l7, comma 12, necessiti della preventiva
valutazione delle norme regolamentari in materia: il rango che la Legge riconosce espressamente al regolamento ai sensi dell'art.3, comma 2 e il contenuto
della delega portano infatti a ritenere che i principi di cui alla Legge medesima trovino compiuta attuazione nel provvedimento di secondo grado.
Nelle more, qualunque giudizio non potrebbe che avere carattere interinale.

23. Alla luce delle considerazioni appena svolte, si ritiene opportuno e doveroso rivolgere istanza a codesta Autorità perché voglia promuovere presso il
Governo italiano:

a) azioni idonee ad assicurare che nell'emanando regolamento la materia sia disciplinata in modo da garantire il rispetto e l'attuazione di fondamentali
principi del diritto comunitario;

b) in subordine, azioni idonee ad assicurare che, ove nelle more dell'assunzione dell'atto di regolazione il regolamento sia stato emanato senza le
disposizioni necessarie a garantire la compatibilità della disciplina interna con i principi dell'ordinamento, il Governo adotti le opportune modifiche
nell'esercizio del potere di cui all'art.3 comma 2, ultimo periodo della Legge, che regolamenta le "successive modificazioni ed integrazioni del regolamento".
Stampa documento Stampa Invia una e-mail al CNI bancadati@cni-online.it