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Rif. DV05578
Documento 19/09/1998 RELAZIONE CONCLUSIVA
Fonte GIOVANNI ANGOTTI
Tipo Documento RELAZIONE CONCLUSIVA
Numero
Data 19/09/1998
Riferimento Protocollo CNI n. 8401 del 27/10/1998
Note INGEGNERE ITALIANO N. 296/98 PAG. 9
Allegati
Titolo XLIII CONGRESSO NAZIONALE - RELAZIONE CONCLUSIVA PRESIDENTE CNI
Testo Questo Congresso ha mostrato - e ne sono profondamente soddisfatto - una crescita notevole della categoria. E la prova determinante di questa crescita sta nel livello di riflessione che si è raggiunto, nella capacità, dunque, di definire con sempre maggior puntualità il nostro ruolo e la nostra funzione nella società.

Un inconfutabile segnale di crescita si coglie nel messaggio che, attraverso la Mozione conclusiva, abbiamo inviato all'esterno; per la prima volta, infatti, abbiamo saputo definire, riassumere e comunicare, in modo da essere compresi da interlocutori esterni, quello che siamo e quello che vogliamo.

Un risultato raggiunto anche grazie alla levatura delle relazioni di base del Congresso, alla qualità del dibattito e all'approfondimento degli interventi.

Partendo da questa premessa è con fiducia ed entusiasmo che mi soffermerò a precisare che cosa faremo nel prossimo futuro.

Sui tre temi attualmente di maggior rilevanza per la vita della categoria, e cioè la legge quadro dei lavori pubblici, la riforma delle professioni e l'autonomia didattica universitaria, abbiamo già definito una linea d'azione frutto del lavoro svolto dalle Assemblee dei Presidenti, dalle Commissioni istituite dal Consiglio Nazionale, e approfondita in occasione dei convegni, dei forum e dei seminari.

Una linea d'azione che il Congresso ha confermato e che ci vedrà molto impegnati, e soprattutto uniti come abbiamo saputo essere in questi giorni, anche nel futuro.

A proposito della Merloni, tengo a rafforzare un messaggio che a me sta molto a cuore e che è diretto ai colleghi dipendenti.

E' vero che esistono forti preoccupazioni sul contenuto dell'emendamento della Merloni ed anche su alcuni punti della Bassanini, ma ritengo vitale che non si enfatizzino troppo questi aspetti: li combatteremo tutti insieme con forza e con misura, facendo attenzione a non correre i rischio di apparire più deboli di quello che siamo.

La verità, infatti, è che nessuna legge, tanto meno la Merloni, ha imposto ai colleghi dipendenti di non iscriversi all'Albo. Anzi è importante che tutti i colleghi dipendenti si iscrivano agli Albi professionali per dare una risposta di unità e di forza.

Un altro argomento su cui voglio soffermarmi brevemente è quello della tariffa professionale. Come libero professionista ho un'automatica reazione negativa quando la tariffa è messa in discussione, ma d'altra parte ho l'assoluta convinzione che sia il momento di definire una forma di tariffa diversa da quella attuale. Non andremo lontani se pensiamo che la tariffa si aggiorni, aggiornando le percentuali.

Dobbiamo individuare le nuove attività emerse nel tempo ed indicare la misura dei compensi in modo comprensibile e di facile lettura da parte della committenza pubblica e privata; solo così daremo la migliore stabilità alla tariffa.

Dobbiamo tentare questa via, anche attraverso il lavoro della Commissione richiamata nella mozione, per trovare il modo giusto per far comprendere alla committenza la misura del compenso rispetto, per esempio, anche ad elementi quali l'importanza dell'opera e non solo ed unicamente al suo importo.

Sul problema delle tariffe l'attenzione e l'azione del Consiglio Nazionale non sono mai mancate, e di tale lavoro gli Ordini sono stati sempre informati tramite un considerevole numero di lettere, circolari e documenti. Il problema, però, è rimasto tra quelli da risolvere, anche perché non è ancora stata raggiunta la necessaria effettiva maturazione collettiva.

Solo quando si arriverà alla conclusione di questo processo di maturazione che porti all'unità d'intenti della categoria sulle modifiche alla tariffa, sarà possibile individuare i riferimenti tariffari che rispecchino quello che la professione dell'ingegnere rappresenta nel Paese alle soglie del terzo millennio.

Ancora un problema sul quale desidero richiamare la vostra attenzione, e che mi sta particolarmente a cuore, è quello del superamento dell'attuale struttura degli Ordini.

Un primo importante passo, a mio avviso, è il coinvolgimento dei giovani nella vita dell'Ordine, e non solo quando sono laureati ma nel momento della loro formazione accademica. Questo è il grande sforzo che dobbiamo compiere: stabilire un rapporto permanente con le associazioni degli studenti perché, superata la fase degli studi, trovino il nuovo Ordine in grado di poter indicare i percorsi e facilitare il loro inserimento nel mondo del lavoro e quindi nella società.

Questo è il primo impegno del nuovo ruolo sociale verso il quale l'Ordine è proiettato; e risponde ad una domanda che viene dai giovani ingegneri, studenti e neolaureati, come è emerso dalle ricerche e statistiche commissionate dal CNI al CENSIS con l'obiettivo di conoscere meglio la categoria.

Occorre anche sensibilizzare le autorità accademiche, e chi vi parla è impegnato su questo fronte da più di un decennio, affinché sia reso possibile agli studenti raggiungere la laurea nei cinque, sei anni indispensabili. Questo è un passaggio indispensabile sul quale impegnarsi nei confronti dell'università.

Naturalmente comprendiamo le esigenze legate all'inserimento nella dimensione europea e in quest'ambito è nostro preciso compito far sì che le cose vadano nel modo migliore per quanto riguarda gli sviluppi della professione. Senza illuderci di potere alzare le barricate per ottenere l'impossibile, ma cercando di capire i meccanismi del nuovo sistema formativo che si va affermando e compiere i passi necessari verso il futuro non solo con la ragione, ma anche col cuore. Ed è soprattutto col cuore che dobbiamo costruire la nuova società dei giovani.

Questa raccomandazione potrebbe essere anche interpretata come un cedimento, ma vi ricordo che quando nacquero i diplomati universitari in Italia, ci fu una divisione tra noi, superata successivamente dalla unanimità con la quale affermammo l'unicità dell'Ordine, indipendentemente dal livello purché universitario.

Il problema dell'inserimento nella dimensione europea del nostro iter formativo, dovrà essere oggetto di profonda riflessione all'interno degli Ordini; è infatti quella la sede adatta per analizzarne tutte le sfaccettature e comprendere su quali aspetti il nostro intervento può avere possibilità di riuscita e quali correttivi sarà possibile introdurre.

Sempre però con i piedi in terra, tenendo presente che se difficilmente potremo rifiutare in toto i contenuti dei documenti redatti a livello europeo dalla rappresentanza degli accademici italiani, sarà certamente più facile, proprio in quanto nostro impegno istituzionale, far accettare i correttivi di carattere professionale e culturale affinché si realizzi quel processo di formazione che noi riteniamo gli ingegneri debbano avere alla fine del ciclo superiore ed inferiore degli studi.

Il fatto che i percorsi formativi, a differenza del passato, non si compiano più interamente nell'ambito dell'università, rappresenta una grande sfida che il Consiglio Nazionale non esiterà a accogliere: la risposta, che vedrà gli ingegneri protagonisti e certamente all'altezza del compito, sarà l'affidamento al CENSIS della gestione materiale del completamento della formazione successiva a quella accademica, dell'aq*iornamento e della riqualificazione professionale.

Passo ora a una breve riflessione su di un argomento che ci riconnette al precedente e che riguarda le professioni tecniche. Siamo usciti dal CUP perché non ne capivamo la logica e, alla luce delle successive prese di posizione di alcune categorie (notai, medici ed avvocati, ad esempio), abbiamo constatato di aver avuto ragione.

Quindi, colleghi, dobbiamo intenderci: il successo dell'ingegneria per quanto concerne anche la permanenza nell'ambito ordinistico e non il passaggio ne*l'ambito delle associazioni, dipende dalla nostra capacità di fare una proposta generale che riguardi tutte le professioni tecniche.

Mi riferisco solo ai cinque Ordini dei laureati dell'area tecnica perché non siamo riusciti a farci ascoltare dai Collegi dei diplomati, i quali mirano solo a crescere e a diventare figure professionali con competenze diverse da quelle che la loro professione consente.

Questa distinzione culturale di fondo non ci ha, dunque, consentito di accomunarci con tutti, ma solo con i cinque Ordini dell'area tecnica, per tentare di presentare insieme un ordinamento che abbia una parte generale comune e una parte che distingua competenze di ciascuna professione con le sovrapposizioni abbastanza ampie che esistono.

Non dovremo più porci il problema dell'esistenza o meno dell'Ordine, dobbiamo invece avere la consapevolezza che siamo e saremo Ordine, soprattutto se lo saremo insieme a tutti gli altri organismi professionali dell'area tecnica.

Fra le tante sovrapposizioni di competenze ne ricordo una che nell'ultimo anno ci ha creato qualche problema: quella degli interventi in campo architettonico nei centri storici. Attraverso la collaborazione con gli architetti stiamo arrivando ad una soluzione che ci permetta di superare una situazione creatasi principalmente per le continue contrastanti decisioni giurisprudenziali.

Ma per superare definitivamente questi problemi è necessario che gli Ordini riescano ad esprimere il grande valore culturale dell'ingegneria italiana nel settore dell'architettura, valore che si coglie nell'ambito delle grandi opere che vengono realizzate nel nostro Paese. Questo perché non c'è alcun dubbio sul fatto che gli ingegneri sono i titolari abilitati culturalmente, accademicamente e professionalmente a svolgere nel Paese la professione nei suoi molteplici e diversificati aspetti; tra questi il fare architettura ad alto livello nell'ambito dell'edilizia civile.

Un buon successo da segnalare è la firma di un documento congiunto con il Consiglio Nazionale degli Architetti che ci ha consentito di sbloccare a Bruxelles e dunque di superare definitivamente l'annosa questione delle competenze in sede europea degli ingegneri edili, con la riaffermazione di quegli ingegneri che hanno iniziato i corsi universitari entro il 1987/88.

Concludo soffermandomi su un altro aspetto di grande importanza che è la nostra presenza sulla stampa e sui mass-media.

Essere presenti sulla stampa attraverso i nostri organismi professionali vuol dire, a mio avviso, manifestare sotto il profilo della nostra specificità in tutti i settori della vita organizzata, il nostro pensiero; vuol dire renderlo noto in tutti i campi: dall'urbanistica ai trasporti, dall'assetto del territorio ai problemi idrogeologici, dagli insediamenti industriali allo sviluppo generale del Paese.

Su tutti questi temi, sia a livello degli Ordini provinciali, che delle Federazioni e Consulte regionali e del Consiglio Nazionale, dobbiamo dare un forte segnale al Paese presentandoci quale forza sociale sulla quale poter fare affidamento per la loro soluzione.

Solo con una corale partecipazione ed un grande impegno della categoria, attraverso gli Ordini, su problemi di tale spessore e respiro, sarà incontrovertibile e chiaro per tutti che gli ingegneri italiani, nel ricercare anche il soddisfacimento dei propri interesse economici, guardano principalmente allo sviluppo e all'avvenire del nostro Paese.



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